Tra le principali terapie non farmacalogiche dei disturbi psichici vanno ricordati:

  • Psicoterapia
  • Psicoeducazione
  • Social Skills Training
  • Cognitive Remediation
  • Altre: arteterapia, musicoterapia, terapia psicomotoria, danzaterapia, terapia occupazionale, pet therapy, terapia elettroconvulsivante (ECT)

 

 

Psicoterapia

 

Etimologicamente la parola psicoterapia, cioè “cura dell'anima”, riconduce alle terapie della psiche realizzate con strumenti psicologici quali il colloquio, l'analisi interiore, il confronto, la relazione ecc., nella finalità del cambiamento dei processi psicologici dai quali dipende il malessere o lo stile di vita inadeguato. Essa è basata sul presupposto che un rapporto interumano possa cambiare una persona, possa maturarla, ma soprattutto possa avere un’influenza sui sintomi che questa persona presenta.

La psicoterapia viene esercitata attraverso un modello strutturato e codificato, da una figura professionale precisa, lo psicoterapeuta.

Esistono numerose definizioni di psicoterapia pertinenti a teorie della mente e modelli d'intervento diversi, spesso su basi epistemologiche differenti. Numerose sono anche le pratiche e le tecniche psicoterapeutiche legate ai diversi indirizzi teorici. I più comuni approcci psicoterapici sono:

  • Psicoterapia psicodinamica
  • Psicoterapia comportamentale
  • Psicoterapia cognitiva
  • Psicoterapia sistemico-relazionale

 

 

Psicoterapia Psicodinamica

 

L'accezione "dinamica" sta ad indicare prevalentemente l'esistenza di forze o attività psichiche che possono interagire o entrare in conflitto, dando origine a caratteristiche di personalità e comportamenti che, se pervasivi e disadattivi, sono considerati come sintomi di un disturbo psichico.

Il concetto di conflitto psichico è centrale nella psicologia dinamica, e si riferisce primariamente all'idea di Freud del costante conflitto fra desiderio e difesa, vale a dire fra un movimento verso un obiettivo ed una serie di "impedimenti" dettati dalla morale o da altre regole comportamentali apprese. Gli stessi modelli psicodinamici, intesi nell'accezione storica originaria "pulsionalista" di inizio Novecento (ed attualmente in buona parte superati e revisionati), sono accomunati dalla concezione del funzionamento mentale come il risultato di un conflitto. Il conflitto è dato dalla opposizione tra potenti forze inconsce che richiedono l'espressione e la soddisfazione immediata, e forze opposte che impongono un controllo, e limitano l'espressione reprimendola o permettendone la soddisfazione in modalità socialmente accettabili. Il conflitto, in altri termini, può essere concettualizzato come la contrapposizione tra un desiderio ed una difesa contro il desiderio stesso.

In generale, la terapia psicodinamica dei vari orientamenti psicoanalitici prevede una stretta relazione tra psicoterapeuta e paziente, grazie alla quale si cerca di esplorare la struttura dei conflitti responsabili dei sintomi. Lo psicoterapeuta assiste il paziente nella rielaborazione dei conflitti interiori, permettendo una miglior gestione degli effetti provocati da questi. La Psicoterapia psicodinamica richiede un periodo medio-lungo per potersi sviluppare in maniera adeguata (da 2 a 3 anni, con incontri regolari una o due volte alla settimana, ma la frequenza resta comunque variabile anche nel corso della terapia).

Il trattamento, da un punto di vista tecnico, consiste nell'attivare una terapia analitica con un setting rigoroso, al fine di favorire lo sviluppo del transfert, cioè l'attualizzazione di schemi relazionali pregressi nel qui ed ora della relazione clinica che viene a stabilirsi tra paziente e terapeuta; nel processo di transfert il soggetto attiva una rappresentazione inconscia di stili relazionali primari, a volte correlati alle difficoltà che ha riscontrato.

L'interpretazione del transfert, del controtransfert (ovvero delle reazioni emotive dell'analista a certi processi del paziente), delle libere associazioni e di altro materiale personale (ad esempio, comportamenti, patterns relazionali, sogni, etc.) durante le sedute cercherà di favorire l'elaborazione delle cause più profonde dei conflitti, per permettere al paziente di assumere maggiore consapevolezza e poter modificare i propri stili relazionali, o al fine di ottenere una parziale ristrutturazione del proprio Sé, in modo che sia il più funzionale possibile all'adattamento alla vita sociale e relazionale, e mitigando gli eventuali sintomi psicopatologici.

L'approccio psicoanalitico acquisisce lo status di paradigma psicoterapeutico nel corso del primo Novecento grazie all'opera di Sigmund Freud e di tutto il primo movimento psicoanalitico. All'interno dell'approccio psicoanalitico, si sono poi create sottoscuole di pensiero, con differenti "teorie della clinica"; tra le principali ricordiamo: quelle psicoanalitiche classiche, quelle psicoanalitico-relazionali, quelle psicoanalitico-intersoggettive; tra quelle derivate dal filone principale della psicoanalisi freudiana e post-freudiana, sono di rilievo inoltre la psicologico-analitica junghiana, la psicanalisi lacaniana e la psicologia individuale adleriana. Esistono inoltre forme di psicoterapia psicodinamica breve.

 

Psicoterapia Comportamentale

 

Si tratta di una psicoterapia che ha come obiettivo principale la modifica dei comportamenti disadattivi dei pazienti. È la prima forma di psicoterapia che sia stata sottoposta a verifica sperimentale sistematica ed è nata come applicazione al campo clinico dei principi sperimentali dell'apprendimento, evidenziati in laboratorio.

La psicoterapia comportamentale si focalizza principalmente sul comportamento del paziente, cioè quell'attività osservabile - in rapporto con l'ambiente - che è fonte di problemi, quali sofferenza o disadattamento. Tali comportamenti, spesso chiamati "sintomatici", sono esaminati in relazione ai contesti in cui sono emersi e a quelli in cui si manifestano abitualmente. Un assunto centrale è che tali reazioni comportamentali siano state apprese, seguendo le leggi dell'apprendimento sociale e cognitivo (cognitive-social learning), ovvero condizionate da specifiche contingenze ed esperienze.

La terapia comportamentale origina dagli studi di psicologia sperimentale sul condizionamento classico di Ivan Pavlov e sul condizionamento operante di Burrhus Skinner; ad essi si aggiunsero i contributi di Joseph Wolpe sulla desensibilizzazione e di Hans Eysenck sulla "Teoria dei Tratti" (primo ponte funzionale verso l'integrazione tra approcci comportamentisti e del primo cognitivismo). Dagli anni '70, si parla appunto di neocomportamentismo per definire la rielaborazione operativa degli originari contributi teorici di Pavlov e Skinner in un'ottica specificatamente clinica. Dopo una prima fase di sviluppo avvenuta prevalentemente negli Stati Uniti (tra gli anni '60 ed i primi anni '80), si è poi diffusa progressivamente anche in Europa e nel resto del mondo.

Frequentemente associata alla terapia cognitiva (normalmente si parla infatti di "terapia cognitivo-comportamentale"), si avvale di tecniche d'intervento quali il condizionamento/decondizionamento (finalizzato all'estinzione o rimodulazione di risposte comportamentali e psicofisiologiche), la desensibilizzazione sistematica, il flooding, le tecniche di stop del pensiero e diversione dell'attenzione, l'uso di tecniche di rilassamento (come il rilassamento muscolare progressivo di Jacobson, le tecniche di controllo della respirazione o il training autogeno), ed il Biofeedback (BFB).

 

Psicoterapia Cognitiva

 

La terapia cognitiva è un tipo di psicoterapia fondata sui principi ed i processi della psicologia cognitiva e, limitatamente, del neocomportamentismo clinico.

Anche se in linea teorica possono esistere forme di terapia "esclusivamente cognitiva", nella pratica si opera molto spesso una congiunzione funzionale tra gli approcci cognitivi e quelli comportamentali. Si parla quindi normalmente di CBT (Cognitive-Behavioural Therapy), o, in italiano, di TCC (Terapia Cognitivo-Comportamentale).

Al momento attuale è una delle forme più note e diffuse di psicoterapia, applicata estensivamente per il trattamento di molti tipi di disturbi psicologici e psichiatrici (in particolare nella gestione dei disturbi d'ansia e dell'umore, e come trattamento di supporto o complementare nei disturbi della personalità, nelle psicosi ed in altre forme sindromiche). I suoi tassi di efficacia, a livello di riduzione sintomatologica in diverse forme psicopatologiche, sono valutati come buoni, e a volte sono usati come parametro funzionale di riferimento per altri tipi di psicoterapie.

La teoria cognitiva parte dall'assunto che il modo in cui le persone interpretano le loro esperienze ha un impatto significativo sui loro sentimenti, quindi sul loro comportamento. Per esempio, se un individuo giudica una situazione pericolosa, egli proverà ansia e cercherà di fuggire o evitare la situazione; ugualmente, se una persona pensa che i suoi problemi siano senza speranza, questa persona diventerà depressa. I pensieri che producono sofferenza psicologica sono chiamati dalla psicoterapia cognitiva "pensieri automatici" ovvero un pensiero che avviene al di fuori della consapevolezza, e quindi non può essere controllato dal soggetto. La psicoterapia cognitiva ipotizza che alla base di molte disfunzioni psicopatologiche vi possano essere alcuni "errori" cognitivi. Ad esempio, tra gli altri:

  • Inferenze arbitrarie: anche conosciute come "saltare alle conclusioni", si riferiscono al giungere a conclusioni senza evidenze per provare che esse siano vere. Ad esempio, una madre molto ansiosa che vede che la figlia è in ritardo potrebbe pensare che le sia successo qualcosa. Questa è un'inferenza arbitraria: la madre non ha prove a sostegno dell'ipotesi, perché la figlia potrebbe essere in ritardo semplicemente a causa del traffico.
  • Astrazione selettiva: è il focalizzare un dettaglio di una situazione, non considerando gli altri, e basando solo su di esso le proprie conclusioni. Ad esempio, uno studente che prende un voto basso ad un esame si soffermerà solo sulle domande che ha sbagliato, senza tener conto di quelle cui ha risposto correttamente, e quindi penserà di essere un fallito.
  • Sovrageneralizzazione: raggiungere una conclusione generale partendo da una singola situazione
  • Minimizzazione/sovrastima: sottovalutare le proprie capacità e sottolineare gli errori
  • Omogeneizzazioni: posizionare tutte le opinioni altrui sullo stesso piano
  • Sottovalutazione degli aspetti positivi: non riconoscere il giusto peso o valore ad un'azione o un comportamento nonostante oggettivamente lo meriti.

Il trattamento, in particolare nel primo cognitivismo, include una combinazione di interventi verbali e di tecniche di modificazione del comportamento, che aiutano il paziente a identificare le proprie cognizioni disfunzionali. Il paziente viene quindi aiutato a rielaborare queste cognizioni, e i conseguenti "schemi maladattivi" che sono alla base di alcuni dei suoi processi psicopatologici o disfunzionali.

Alcuni dei principali approcci sono quelli della REBT (Rational-Emotive Behavioural Therapy), di Albert Ellis; gli approcci cognitivisti classici, di Aaron T.Beck; gli approcci del secondo cognitivismo, o neocognitivismo clinico di impronta costruttivista, derivati dal lavoro pionieristico di George Kelly (che pure personalmente non si definiva "cognitivista").

Mentre gli approcci classici (Ellis, Beck) sono fortemente influenzati dai rigidi approcci del cognitivismo HIP (Human Information Processing), imperante nella psicologia sperimentale degli Stati Uniti nel corso degli anni settanta, all'interno degli approcci cognitivo-costruttivisti sono maggiormente focalizzati i contributi della seconda cibernetica di Heinz von Foerster, Humberto Maturana e Francisco Varela; della teoria sistemica; della teoria dell'attaccamento di John Bowlby; degli approcci costruttivisti della Personal Construct Psychology.

Non vi è solo una differenza teorica, ma, secondo molti, anche un vero "salto epistemologico" tra primo e secondo cognitivismo clinico; il primo è considerato più "sintattico" e razionalista, il secondo più "semantico" ed aperto alla complessità ed ai significati soggettivi dell'esperienza vissuta.

 

Psicoterapia Sistemico-Relazionale

 

La psicoterapia ad indirizzo sistemico-relazionale considera la persona portatrice del sintomo "paziente designato". Tale termine sta ad indicare che il paziente è il membro del sistema-famiglia (per famiglia si intendono sia la propria che almeno le due generazioni che l'hanno preceduta), che esprime o segnala il funzionamento disfunzionale di uno o più dei sistemi di cui egli è uno dei vertici. Tale membro è "designato" dal sistema stesso, secondo una prospettiva bio-psicosociale, in quanto soggetto che esprime una modalità disfunzionale di vivere, pensare, agire. Talvolta, specialmente in casi che riguardano i bambini o gli adolescenti (ambiti in cui la terapia familiare risulta un approccio particolarmente valido), questo si manifesta sotto forma di blocco evolutivo, così che tutte le tensioni tendono a convergersi su di lui; in tal modo diviene il controllore di forze ed energie relazionali, al prezzo di gravi sentimenti di sofferenza e vissuti di disgregazione.

In questa ottica, le tecniche che si utilizzano hanno per obiettivo la modificazione delle regole del sistema, ovvero la modificazione delle modalità di comunicazione e di interazione tra i membri.

Questo approccio ebbe origine a partire da un vasto movimento di teorie e idee diffuse negli Stati Uniti durante gli anni cinquanta, in particolare la teoria dei sistemi e le teorie della cibernetica. La "Scuola di Palo Alto" e il Mental Research Institute, con i loro maggiori esponenti (Gregory Bateson, Don D. Jackson, Jay Haley, Paul Watzlawick), furono i principali centri di sviluppo della terapia sistemica familiare. I terapeuti che seguono questo orientamento psicoterapeutico condividono la matrice pragmatica, di chiara origine americana, per cui il loro intervento si struttura in genere in un numero di sedute ridotte, e in tempi relativamente rapidi.

La psicoterapia ad indirizzo sistemico-relazionale si è molto diffusa in Italia e in Europa durante gli anni ottanta, in modo particolare nei servizi di salute pubblica, nel campo della patologia psichiatrica degli adulti, nella neuropsichiatria infantile, nel campo delle tossicodipendenze e negli ultimi anni anche nelle problematiche che riguardano la separazione-divorzi e le problematiche scolastiche; inoltre nell'ambito della psicologia del lavoro ha trovato importanti e significative applicazioni.

In ambito clinico, proprio in Italia è nata e si è sviluppata una delle più importanti tradizioni di ricerca sistemica, di notorietà e diffusione internazionale: il cosiddetto "Modello della Scuola Milanese", di Selvini-Palazzoli, Boscolo, Cecchin e Prata. La terapia sistemico-relazionale coincideva, almeno all'inizio del suo sviluppo, con la terapia familiare benché oggi sia applicata molto anche a incontri individuali, mantenendo però un approccio per cui l'individuo è portavoce di un malessere esteso all'interno del suo sistema di relazioni.

 

Psicoeducazione

 

Il termine psicoeducazione indica una metodologia introdotta nel campo delle scienze della salute mentale negli anni ottanta, che punta a rendere consapevole la persona portatrice di un disturbo psichico, e i membri della sua famiglia, circa la natura della patologia di cui è sofferente e circa i mezzi per poterla fronteggiare, ad esempio attraverso il miglioramento delle abilità di comunicazione efficace, di soluzione dei problemi e di individuazione precoce dei segni di ricaduta.

Il termine "psicoeducativo" fu utilizzato la prima volta da Hogarty e coll. (1986) per indicare il proprio tipo di intervento, molto vicino a quello di Leff (1989) e a quello di Falloon e coll. (1982, 1985).

Essa prende le mosse dagli studi sulle "famiglie ad alta emotività espressa", condotte dal gruppo che faceva capo a Julian Leff della Social Psichiatry Unit di Londra sulle famiglie con un membro affetto da psicosi schizofrenica, tese a prevenire le ricadute e i nuovi ricoveri in reparto psichiatrico (Vaughn e Leff, 1976, 1981, 1984, 1987).

Successivamente, negli anni '90 del 1900, è stata estesa ad altri disturbi psichici (disturbi d'ansia, depressione e disturbi bipolari, disturbi dalla personalità) grazie soprattutto a Ian Falloon dell'Università di Auckland (Nuova Zelanda).
Più recentemente la psicoeducazione è stata utilizzata nei programmi intensivi per la prevenzione dell'esordio psicotico (McGorry a Melbourne, Birchwood in Inghilterra, Hafner in Germania, Cocchi e Meneghelli in Italia).

Trattamenti psicoeducazionali sono stati proposti anche in età evolutiva, per minori con disturbi mentali gravi e per i loro familiari, per gli adolescenti a rischio e i loro familiari, per l'autismo e per i disturbi del comportamento alimentare. Più recentemente è stato esteso al trattamento dei disturbi bipolari (Colom, Vieta, 2006) e al disturbo ossessivo-compulsivo. La psicoeducazione è stata utilizzata anche nel campo dei problemi di alcolismo.

Ha tra i suoi obiettivi il miglioramento delle abilità di comunicazione efficace, di soluzione dei problemi e di individuazione precoce dei segni di ricaduta da parte dei pazienti.

 

Social Skills Training

 

Il Social Skills Training è un trattamento finalizzato al potenziamento di determinate abilità socio-emotive e comunicative che risultano carenti in alcune persone. Nei disturbi psichici le abilità sociali si rivelano spesso scarsamente sviluppate o vengono perse. La ricerca scientifica ha dimostrato che le abilità sociali possono essere apprese e/o migliorate e quindi modificati grazie all’esperienza e all’allenamento. Il social skills training comprende una gamma di interventi mirati a far acquisire e allenare nel tempo le abilità sociali necessarie nelle situazioni interpersonali per comunicare con gli altri in modo appropriato ed efficace.

Gli obiettivi del Social Skills Training sono:

  • imparare a conoscere meglio se stessi, i propri comportamenti e quelli altrui
  • imparare a riconoscere gestire le proprie ed altrui emozioni
  • comunicare con gli altri in modo più competente ed efficace, incrementando le proprie abilità interpersonali
  • affrontare con maggior fiducia le situazioni problematiche
  • sviluppare un comportamento equilibrato e costruttivo e migliorare il senso di autoefficacia
  • gestire gli insuccessi

 

 

Cognitive Remediation

 

La Cognitive Remediation è una terapia progettata per migliorare capacità cognitive quali l'attenzione, la memoria, la flessibilità e la pianificazione cognitiva e le funzioni esecutive che portano a loro volta ad un miglioramento del funzionamento psicosociale.

Da alcuni anni la Cognitive Remediation ha trovato largo impiego nelle patologie psichiatriche quali disturbi d’ansia, depressione, disturbo bipolare, anoressia nervosa, disturbo borderline di personalità e, soprattutto, i disturbi psicotici quali la schizofrenia.

Le neuroscienze hanno negli ultimi anni focalizzato l’attenzione sull’importanza delle funzioni cognitive nei pazienti affetti da disturbi psichici. Sempre più ricerche hanno infatti dimostrato e confermato come le funzioni cognitive si correlino in maniera diretta ed indiretta al funzionamento psicosociale della persona.

Concretamente, la Cognitive Remediation è un insieme di esercizi cognitivi e interventi compensativi che coinvolgono il partecipante in un'attività di apprendimento per migliorare le specifiche abilità cognitive deficitarie. Il training sulle funzioni cognitive si è dimostrato uno strumento molto valido per raggiungere la consapevolezza, l’automonitoraggio, l’empowerment, l’autostima e l’autodeterminazione.