Fare una giusta diagnosi in Psichiatria è essenziale per definire la giusta terapia. La diagnosi psichiatrica è una prerogativa specifica dello Psichiatra. Una diagnosi affidabile è possibile solo con una minuziosa indagine, condotta da uno psichiatra validamente formato, che indaghi tutti gli elementi clinicamente rilevanti.

Le diagnosi psichiatriche formulate senza la guida di precisi criteri diagnostici, hanno un livello di affidabilità molto basso per non dire che sono completamente inaffidabili.

Questa scarsa attendibilità diagnostica poteva essere comprensibile fin quando l’assistenza psichiatrica era essenzialmente ad di tipo custodialistico ovvero fino alla fine degli anni '70 oppure fin quando la psicofarmacologia muoveva i suoi primi passi ed i farmaci disponibili erano scarsamente specifici ovvero fino agli anni '80 - '90. Con l’arricchirsi dell’offerta terapeutica, l’importanza di una diagnosi universalmente accettata e quindi affidabile si è fatta sempre più grande, non essendo più accettabile l’incertezza dell’inquadramento diagnostico. L’assenza di criteri diagnostici univoci impediva la prescrizione del trattamento più appropriato per la specifica diagnosi.

Pertanto la collocazione del paziente in una specifica categoria diagnostica significa prescrivere un trattamento più efficace e migliorare l’evoluzione e la prognosi del suo disturbo.

diagnosi medica

I criteri diagnostici e l’intervista strutturata per una valida diagnosi

L’inaffidabilità diagnostica, ha indotto i ricercatori a proporre criteri diagnostici basati sulla definizione di segni e sintomi che descrivono le diverse categorie diagnostiche. In questo modo, la diagnosi è soddisfatta dalla presenza di una serie di segni, sintomi e condizioni ben precise. In tal senso sono stati definiti anche glossari per assicurare l’univocità del significato dato dai clinici ai segni e sintomi eliminando così la varianza data all’interpretazione dei criteri diagnostici.

Questo però non garantiva dal rischio che i clinici acquisissero informazioni diverse e limitate dai pazienti. Ogni clinico, infatti, ha un proprio stile nell’acquisire informazioni dai pazienti e spesso ha anche uno stile diverso per pazienti diversi, a causa delle caratteristiche dei pazienti stessi che dello stesso clinico. Questo modo di intervistare il paziente necessita un’interpretazione della qualità delle informazioni raccolte per cui il clinico deve assicurarsi che il paziente abbia ben compreso le domande, se è stato sincero, se le risposte sono condizionate dalla patologia al punto da rendere inattendibile quanto riferito, se le condizioni ambientali o la relazione medico-paziente può aver influito negativamente, eccetera. È evidente che questo metodo comporta enormi margini di arbitrarietà, di soggettività, influenzando pesantemente l’inaffidabilità del giudizio diagnostico, anche quando riferito a criteri diagnostici.

Per limitare tutte queste fonti di variabilità diagnostica, sono state create “interviste strutturate” che, omologando l’intervista al paziente, portano alla raccolta di informazioni univoche, comparabili fra clinici e pazienti.

Le principali interviste strutturate in psichiatria sono rappresentate dalla Structured Clinical Interview for DSM (SCID) e la Mini-International Neuropsychiatric Interview (M.I.N.I.) SCID e MINI sono praticamente le uniche due interviste strutturate riconosciute, validate ed accettate a livello internazionale.

intervista strutturata

Le scale di valutazione

Per migliorare ulteriormente l’approccio diagnostico e l’esito terapeutico sono stati messi a punto nel tempo anche strumenti di valutazione capaci di focalizzare l’attenzione sull’oggetto dell’intervento e verificarne l’effetto.

Fin dagli anni ’50, con l’avvento dei primi psicofarmaci, nell’impossibilità di ricorrere a marker bioumorali, hanno cominciato ad esser realizzati strumenti di valutazione che descrivessero sistematicamente le diverse aree del comportamento psicopatologico e che ne permettessero la sua misurazione. Sono nate così le Scale di valutazione, in primis quelle per la valutazione della psicopatologia generale e poi quelle per la valutazione di specifiche aree psicopatologiche.

La ricerca psicofarmacologica clinica scientificamente strutturata, ha stimolato lo sviluppo di strumenti sempre più specifici, sensibili e accurati nel valutare il quadro clinico dei pazienti e al contempo l’ampia disponibilità di farmaci efficaci ha altrettanto reso necessario una definizione delle caratteristiche psicopatologiche del quadro clinico al fine di un intervento clinico-terapeutico più mirato, individualizzato e, quindi, più efficace.

In questo senso, pertanto l’impiego delle Scale di Valutazione è una necessaria integrazione all’approccio clinico classico perché permettono:

  • di misurare la gravità dei sintomi
  • di essere specifici e obiettivi nello studio di particolari aree di interesse
  • di valutare rapidamente un gran numero di pazienti
  • di avere le necessarie informazioni per impostare un trattamento o per modificare quello in atto
  • di avere anche importantissime informazioni soggettivamente pesate da parte del paziente attraverso le scale di autovalutazione
  • di essere somministrate attraverso strumenti informatici che snelliscono la somministrazione e l’elaborazione

valutazione

In conclusione

Oggi come oggi non attenersi ad un modello condiviso di intervista strutturata per far diagnosi significa penalizzare il paziente, significa non porre le basi per la comprensione del problema necessarie ad arrivare alla giusta soluzione del problema. Questo purtroppo sembra essere il più frequente errore commesso dai clinici nonché la più evidente causa dell’insoddisfacente risultato terapeutico comportando aggravamento della sintomatologia e/o cronicizzazione di essa.

Pertanto, far bene la diagnosi è BASILARE per rispettare il paziente e garantirgli la migliore terapia possibile!

 

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